Dai saperi ancora frammentari al sapere unitario

« E la psicoanalisi svelando l'unitarietà di tutti gli ambiti dello scibile, è arrivata alla visione unitaria dell'essere »

(Silvia Montefoschi, "L'ultimo tratto di percorso del Pensiero Uno - Escursione nella filosofia del XX secolo", 2006)

mercoledì 14 novembre 2012

Kabbalah e Psicoanalisi: verso un nuovo paradigma epistemologico

In questo scritto la psicoanalista Silvia Montefoschi studiosa della Cabala sostiene come lo gnosticismo, da molti critici delle chiese ufficiali cristiane considerato come l'originario cristianesimo autentico dal profilo colto oltre che profondo, esaurisca a differenza della psicoanalisi ma anche della Cabala ebraica, lo Spirito nello spirito umano al pari di  tutte le correnti di pensiero idealistiche e soggettivistiche.
Secondo questa lettura un tale pensiero si situerebbe per quanto evoluto e malgrado ciò ancora al di quà del superamento dell'antroporiferimento mentre la Cabala come la psicoanalisi sarebbero già oltre un tale ostacolo rappresentato proprio dall'antroporiferimento che poi coincide ancora una volta con la coscienza che si orienta e si muove in un paesaggio ancora egoriferito e quindi per così dire "provincialistico".

Le correnti mistiche filosofiche dello gnostisticismo e della Cabala non mancarono di sovrapporsi storicamente come è per esempio il caso della "Gnosi ebraica" o della "Cabala cristiana".
Quest'ultimo movimento in cui si intrecciarono gnosticismo e cabalismo per esempio ...

"[...] fu un movimento filosofico-religioso, sorto nel secolo XV dalle speculazioni cristologiche di alcuni ebrei e dalle speculazioni sulla Cabala di alcuni cristiani.
I due sistemi di pensiero tuttavia presentano differenze signficative, dovute proprio al prevalere, nella Cabala, della coscienza estrovertita, e, nella gnosi, della coscienza introvertita.
Il pensiero gnostico, come abbiamo già visto, non supera mai il dualismo soggetto-oggetto; cosa questa che sembra proprio doversi attribuire a quella visione, propria della coscienza introvertita, che, negando essenzialità alla dimensione oggettuale del reale, ne fa un non-essere che pur tuttavia c'è e che diviene pertanto un principio contrapposto a quello dell'essere, quale sua interna ma irrecuperabile negazione.
La visione cabalistica, viceversa, è quella di una totalità in cui i due aspetti dell'essere: il soggetto e l'oggetto, sono in un armonico rapporto di continuità; e anche quando, come nella cosmogonia luriana, viene sottolineata l'essenzialità della separazione, essa si presenta come un momento critico trasformativo all'interno di una unità processuale, che è poi i divenire della totalità stessa attraverso catastrofi e rinnovamenti.
Inoltre, nella gnosi, la dominanza della figura umana quale manifestazione suprema e ultima dell'essere ci richiama quell'antropocentrismo dello spirito laico che abbiamo visto scaturire dalla scoperta, da parte della coscienza orfica, di essere essa stessa la creatrice delle forme oggettive del mondo.
Viceversa, nella Cabala, la funzione mediatrice, che sempre la figura umana svolge, tra l'infinito e il finito, ci rimanda a quella consapevolezza, che abbiamo individuato nella coscienza adamica, circa l'esserci di un creatore quale altro dalla sua creatura.
Infine, la dialettica gnostica sembra non andare al di là della dialettica idealistica che è appunto la dinamica del processo conoscitivo che si svolge all'interno del soggetto conoscente che contempla se stesso, e che pertanto esaurisce lo Spirito nello spirito umano.
La dialettica cabalistica sembra invece già preparare il salto verso il limite della visione soggettiva, prospettando una dinamica conoscitiva che comprende anche la dialettica oggettiva del reale.
E' vero che questo salto già si annuncia all'interno della gnosi. Qui però il salto resta a livello di intuizione  senza raggiungere la consapevolezza sul piano della ragione, in quanto la conoscenza che si fa di esso è rivelazione concessa ad personam dalla grazia divina.
Nella cabala, viceversa, l'intuizione del rovesciamento gnoseologico che il salto suddetto promuove trapassa già in una conoscenza razionale e pertanto universalmente umana.
Se consideriamo che la visione della dialettica del reale tutto, in cui la dimensione oggettuale è inclusa come parte attiva della stessa, la si realizza soltanto dal punto di vista del soggetto riflessivo universale, e che per di più essa non può farsi oggetto di conoscenza comune fintanto che questo punto di vista è raggiunto solamente dall'individuo singolo, dobbiamo pur pensare che il cabalista abbia, più dello gnostico, la possibilità di riconoscersi partecipe della universalità degli uomini.
Di fatto però, ovvero nella concretezza della vita quotidiana, l'appartenenza ad un universo umano già capace della visione del totale, non si dà per l'uomo cabalista più che per l'uomo gnostico.
Motivo questo che ci induce a pensare che la possibilità che il cabalista ha di superare l'attribuzione personale  della rivelazione dell'universale a lui derivi da una maggiore potenzialità di visione inerente alla struttura del suo sistema conoscitivo. Struttura che è ancora una volta quella della coscienza adamica.
La coscienza adamica infatti sa, pur dietro il velo della rimozione, della totalità dell'essere che Adamo intravide e nella quale vide che il soggetto e l'oggetto, l'uno e il molteplice, l'universale e l'individuale sono momenti di un'unica realtà.
Perciò ogni uomo dalla coscienza adamica, e quindi anche il cabalista, custodisce in sè l'esperienza del terreno comune che rende tutti gli uomini ugualmente partecipi dell'essere totale.
Inoltre, essendo il cabalista portatore anche dell'occhio riflessivo della coscienza cristica, egli è in grado di guardare al di là del velo della rimozione adamica; ed è proprio in questo al di là che a lui si rivela non soltanto la visione della totalità dell'essere, ma anche la insaputa partecipazione di tutti gli individui a questa stessa visione.
E' vero che anche l'uomo gnostico sa guardare a questa matrice universale, ma a causa di quella sua originaria coscienza introvertita, egli tende preavalentemente ad attribuire quanto in essa scorge al suo patrimonio di conoscenze soggettive; e, anche se sa, sulla base della ragionevolezza e del senso comune, che la conoscenza che in tal modo raggiunge viene ugualmente raggiunta da altri soggetti umani, questo sapere a lui si dà come fatto esperienziale, in quanto l'esperienza che egli fa resta sempre quella della rivelazione personale.
In altre parole, mentre l'uomo dalla coscienza adamica percepisce l'inconscio come realtà universale, l'uomo dalla coscienza orfica percepisce l'inconscio come realtà individuale.
E' chiaro che, essendo il cabalista, come lo gnostico, una persona concretamente collocata all'interno di un ordine relazionale fondato sulla struttura antinomica del sistema conoscitivo ancora prevalente, e poichè in questo sistema le coscienze degli individui restano reciprocamente separate dal limite soggettivo che le chiude in se stesse, anche a lui non è dato raggiungere il punto di vista del soggetto riflessivo universale, se non in solitudine e saltuariamente.
La differenza sta però nel fatto che, quando lo gnostico arriva ad abbracciare da qesto punto di vista la totalità dell'essere di cui ocnsiste la sua stessa essenza, egli riconosce in essa una patria perduta, e perduta proprio in quanto estranea alla generale condizione umana in cui suo malgrado egli stesso è caduto.
Quando viceversa è il cabalista ad accedere alla visione dell'universale, questi scopre in esso la sostanza di cui è fatta l'intera umanità, e quindi vi riconosce la vera condizione umana che necessariamente già si dà, in quanto sempre attuale, anche se non tutti gli uomini sono ancora  in grado di farne diretta conoscenza.
Rivelativa di questa diversa esperienza del divino è tra l'altro la concezione circa la responsabilità umana nell'opera di salvazione dell'essere totale.
Nella Cabala la funzione salvifica non è affidata solamente ai pochi eletti, come è nella gnosi, ma è propria di tutti i discendenti di Adamo, il quale, in quanto archetipo unico del soggetto umano, è il capostipite dell'intera umanità.
La divergenza tra le due correnti di pensiero sembra pertanto evidenziarsi in un salto dialettico ulteriore che il cabalista fa rispetto allo gnostico.
Salto che si verifica al termine di un loro percorso parallelo e grazie al quale il cabalista, superando lo gnostico, si viene a trovare già in quel nuovo stato della coscienza umana che per lo gnostico si colloca ancora nel futuro.
Il procedere parallelo delle due correnti è conseguente alla loro comune scaturigine dalla riflessione della coscienza cristica su se stessa, dalla quale si segue appunto il corso del divenire dialettico dell'essere.
E questo divenire è colto, da entrambe le visioni, nei tre momenti della sua dinamica dialettica; momenti che vengono ugualmente raffigurati nel movimento di espansione e contrazione di un soggetto primo il quale, passando così dall'uno al molteplice per ritornare all'uno, realizza un nuovo stato dell'essere.
La differenza tra i due sistemi di pensiero sta proprio nel modo come l'epifania di questo nuovo è concepita.
Anzitutto nella visione gnostica essa è soltanto un punto di ritorno, mentre nella visione cabalistica essa è anche e soprattutto un punto di partenza.
Nella gnosi, infatti, la fine e il fine del processo cosmogonico è la realizzazione di una totalità esaustiva dell'essere, il quale, avendo completato la conoscenza esaustiva di sè, è ormai purificato dalla malefica intenzione di andare oltre la stessa, e raggiunge così infine uno stato di quiete che non potrà mai più venire perturbato.
Nella Cabala già la stessa vicenda cosmica che viene raccontata è una nelle serie delle vicende cosmiche che si ripetono nella periodicità della creazione. Sicchè il compimento di essa è soltanto una delle ripetute concentrazioni dell'essere in se stesso che gli consentono di saltare ripetutamente su di sè, allargando all'infinito la visione finita di se stesso.
Ma la sostanzialità della differenza tra la Gnosi e la Cabala sta nel fatto che proprio la diversa visione circa la conclusione della storia cosmogonica faccia sì che, nella Cabala, quest'ultima divenga una cosmologia che a sua volta trapassa in una ontologia in perenne divenire.


(Silvia Montefoschi, "Essere nell'essere", 1986, citaz. pag.92-95)

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